Editoriali

Superare il fiume in piena é possibile

Rientri a casa sfatto, esausto, scazzato: la tensione, le birre, i segni sul viso di un rinvio (ancora incomprensibile) con conseguenti corse – incastri -casini al lavoro e a casa, l’annosa e odiosa condanna del trasporto – code – caselli – navette – attese snervanti per una trasferta di 30 km (rientro a casa ore 00.40), la pioggia e l’umidità, incessanti e penetranti come non mai in questa odiosa primavera.

Ma non è questo il punto.

Ti imponi di spegnere il cervello e dormire, implorando un po’ di pietoso ristoro. Ti ritrovi invece nel mezzo di un fiume in piena (cazzo, questo maggio stronzissimo ti condiziona anche la fase Rem). Lo hai preso un po’ sottogamba: lo ricordavi un torrente, un corso d’acqua piuttosto anonimo, del resto lo hai attraversato indenne 10-15 volte negli ultimi anni, con passo deciso e senza esitazioni. Stavolta qualcosa non torna, è diverso: è più profondo del previsto (o di quanto, erroneamente, credevi di ricordare); l’acqua, solitamente quieta e trasparente invece torbida, cupa, melmosa, che non offre punti di riferimento e sufficiente garanzia su come e dove appoggiare il piede; la corrente, impetuosa, vorticosa, penetrante e paralizzante. E poi quel gorgoglìo fragoroso, potente, incessante, che sovrasta la voce, forse anche il pensiero. Potevi saperlo, dovevi aspettartelo? Decisamente.

Ma non è questo il punto.

Ne sei a metà, le due sponde sono equidistanti. Tornare indietro non è possibile, quel che è fatto è fatto, inutile star qui a recriminare: potevi inciampare una terza volta come avresti potuto ritrovare slancio, approdo, appoggio su un palo. Niente.

Ma non è questo il punto.

Sei nella condizione di stabilire se questa sia la condizione peggiore o migliore, le opzioni sono due: 1) cedere, farti trascinare via, il corpo galleggiante a peso morto verso l’oblìo (ci si accaserà pur sempre in qualche nuovo lido, eh…); 2) non darti per vinto, focalizzarti sulla sponda, ricordarti che hai pur sempre gambe poderose e mezzi tecnici adeguati allo scopo.

Ma non è questo il punto.

Il punto è che se guardi bene, lì in fondo, tra la nebbia, ti stanno venendo incontro delle mani: sono 100, no 1.000, anzi 10.000, unite, legate tra loro, a formare una catena umana. Non ne vedi i visi ma, presta attenzione, ne odi i cori, ne avverti distintamente il battito dei cuori palpitanti di orgoglio. Sono mani che non hanno niente da perdere, sono qui ora e fino a sabato sera, sono mani che han messo da parte lo scazzo degli ultimi anni, sono mani che vogliono sognare.
Sta tutto a te. Afferrarle o annegare.

AVANTI BIANCOSCUDO.

P.S. Ogni riferimento a corsi d’acqua che ricordino il Bacchiglione è puramente voluto.

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