Amarcord

Noi abbiamo Centofanti

Tratto da “Di angolo in angolo”, di Pino Lazzaro

Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così: fascia sulla fronte, capelli lunghi lunghi, neri neri, qualche filo grigio, volto che pare quello di un Cristo o giù di lì.

Si chiama Felice, come il nonno, e lui felice dichiara proprio di esserlo. No, dai, non perché hanno vinto il campionato, c’entra niente il calcio, questo è il suo approccio alle cose, il famoso bicchiere mezzo pieno insomma. Sempre Centofanti che è un po’ l’anima dello spogliatoio, Centofanti che quando serve prende posizione, che difende più giovani, Centofanti che cerca e dà rispetto, che si impegna per le persone, per quello che sono dentro e non per il ruolo che hanno, Centofanti che cerca sempre la coerenza, che dopo averne passate tante nella vita dice, chiaro e tondo, di “non essere uno che si può gestire, uno che sta buono a cuccia, sono io che decido della mia vita, non gli altri”.

Immagine courtesy of Silver

Felice dice che il calcio è meno divertimento di un tempo, che quando lui ha cominciato era ancora possibile ridere negli spogliatoi (lui ancora lo fa), che lì dentro si era più uniti, si era più insieme. Ora ci sono più soldi ma si è più singoli, ognuno pensa per sè, difficile fare gruppo, lui ancora lo fa, positiva la sua parte, dissacrante la sua parte, in questo senso proprio ingestibile (zitto proprio non sta). Si corre sempre di più, ci si allena sempre di più, per fortuna arriva la domenica, la partita, “finalmente giochiamo”.

Dice che in carriera avrebbe potuto fare di più ma probabilmente a suo tempo non era pronto: poca testa come calciatore, vita troppo sregolata, sempre al massimo “ora sono più professionale di una volta, sono marito e padre”. A poco a poco, col diventare grandi, con l’esperienza che si somma all’istinto, l’esuberanza ora riesce a incanalarla un po’ di più. La scommessa della C2 a Padova, piazza che da sempre lo attirava, non sa bene perché, forse per la storia, chissà.

“Vincere è difficile dappertutto, non è stata una passeggiata. Non sarà storica come quella di Galderisi e della serie A ma insomma qualcosa l’abbiamo pur fatta” . Dice di essere uno che vive ancora di emozioni, che ha fatto una vita contro le tante regole non scritte di questo calcio sempre più conformista. Un modo di vivere esigente il suo, che ha un prezzo. In questo, sì, come mi dicevano, mi ricorda Vendrame. Dietro l’angolo dunque una certa instabilità, come di storie meravigliose che possono finire in un attimo, ma che lasciano e lasceranno comunque, per sempre, un segno indelebile.

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