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PEC al Sig. Concetto di Natale

Perché una PEC? Perché le lettere non esistono ormai più e, anche volendo, se penso ai casini che combinano le Poste, farei prima con un piccione viaggiatore… Affidiamoci alla velocità della tecnologia ma con una mail che mi dia garanzia di ricezione e lettura.

Perché non Babbo Natale? Perché il vecchio non esiste, su, dai, ma al Natale, al concetto di momento unico in cui sogni, le proiezioni, i desideri anche più improbabili, possano prendere vita (come dopo 7 spritz, insomma 😅) ecco, ancora credo.

Ad ogni partita in casa, in quel “triangolo dee mudande onte” (epica citazione di un amico) chiamato Euganeo, osservo quella nuova – chiamiamola curva?- diciamo “struttura”: imponente, incompleta, anonima, muta. Immobile. E, in quelle ore e mezz’ore infinite prima della partita, birra in mano a idratare i neuroni, mi concentro su quel coso. Su quella scatola. Ecco, sí, mi ricorda proprio, ogni volta, una grande scatola. Pronta ad accogliere (se mai Dio vorrà) emozioni, urla, lamenti, gioia, tristezza, applausi, lacrime. Ricordi.

Tutti possediamo una scatola dei ricordi, chi reale, chi intangibile.

La mia raccoglie istantanee, lettere, biglietti di concerti, di partite di calcio, di treni, di aerei, sottobicchieri dei pub, autografi. Ci sono i regali di amori passati, i diari di quando ero bambino prima, ragazzo poi, uomo infine. Ci sono le mie figure di merda (tante), gli scherzi epici, le ubriacature, i momenti di gioia irripetibile. Ci sono tante cose legate al biancoscudo. La conservo gelosamente nascosta nel mio armadio. E ancora oggi la apro, ogni tanto, e aggiungo nuove cose, un portachiavi, un adesivo, una conchiglia. Sarà lei a tenere per sempre vivi i miei ricordi con il passare degli anni ed ogni volta che la aprirò, ricorderò tutte le emozioni provate un tempo.

Ci ho aggiunto, il 16 marzo 2023, un pezzo di mattone dello stadio Appiani.

Trofeo ottenuto al termine di un’opera di stalkeraggio di tutto rispetto assillando di richieste gli addetti ai lavori con escavatore e caschetto, condita da decine di “no, non possiamo, non si può, non siamo autorizzati” finché, vedendomi impassibile e soprattutto irremovibile, giunta al traguardo ambìto con un furtivo “Ciapa qua, e desso mòeghea de rompare”

Su quel sasso ho costruito, a mia volta, una scatola. Su misura, in cartoncino. Forbici, taglierino, la colla dei ricordi a unire quel moncone inerte ad alcune stampe, accuratamente selezionate, di momenti indimenticabili legati alla Fossa dei leoni.

Eccola. Una scatola dei ricordi dell’Appiani da inserire nella mia personale scatola dei ricordi. Una matrioska, insomma.

Cosa chiedo al Natale? Occhio, la sparo grossa: che quella scatola self-made possa finire in quella più grande, in quella curva nuova. Realmente, idealmente? Poco importa. Che quel sasso, quelle pietre, quei frammenti, possano venire inglobati nel nuovo cemento armato. Che, ora che il vero cuore pulsante dell’Appiani non c’è più, lo spirito, libero dallo scheletro, possa finalmente accasarsi nello stadio attuale librandosi leggero, raccogliendo tutte le essenze, le vittorie, le vibrazioni raccolte in 70 anni (1924-1994) per innestarsi tra il campo e il laghetto in un rito molto pagano ma, per noi biancoscudati, ampiamente ricolmo di sacralità.

Che l’Appiani si impossessi dell’Euganeo. Questo vorrei.

Sarebbe il migliore dei Natali. Sarebbe, forse, l’inizio di una nuova era biancoscudata?

Mi sa che ‘sto giro ho esagerato con le birre.

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