E’ SERIE B!

Non sono mai stata brava a scrivere cose serie (di sicuro mi viene meglio con le cazzate), ma eccomi qui, in una serata di fine Aprile, a cercare di buttar giù qualche riga su questa stagione incredibile, anche se i pensieri di questi giorni viaggiano più veloci delle parole e delle dita che battono sulla tastiera.

Ancora non ci si capacita del magico trionfo, sarà perchè a Padova di gioie calcistiche ne abbiamo avute talmente poche che, appena ne intravediamo una, ci prende la paura di vedercela sfumare nel peggiore dei modi soprattutto se, come per quest’anno, il peggiore dei modi aveva le sembianze di un gatto nero con la maglia del GlianeRossiVirtusBassanoVicenzaCalcio.

A pensarci bene, è stata una stagione talmente strana, talmente assurda, che non poteva non finire in maniera trionfale: abbiamo vinto contro i rivali di sempre (che adesso possiamo “tore pal cueo tutto l’anno” -semicit.), abbiamo superato (rimanendo uniti e facendo cerchio attorno alla squadra) le difficoltà che come ogni anno ci vengono a perseguitare, puntuali come una cartella di Equitalia. Continuano a scorrere ovunque i video, le foto, e tutto si trasforma in tante diapositive che ti passano veloci davanti gli occhi, anche quando cerchi di dormire.

Già, dormire. Non so voi, ma per me è ancora difficile farlo, dopo tutto quello che è successo. Prima ci sono state le notti insonni alla vigilia delle partite decisive (Vicenza, Novara, Trieste, Clodiense), quelle notti dove gli scenari apocalittici escono dall’armadio e ti si piazzano davanti non mollandoti più.

Poi è arrivata, puntuale, la notte prima degli esami, quella che non sembra non vedere mai una nuova alba, che ti tiene sveglio ore e ore a fissare il soffitto. Una di quelle notti piene di incognite e incubi, ma anche di speranze e di sogni (ovviamente, ad occhi aperti).

E infine le notti di adesso, perché l’adrenalina è ancora viva – più che mai – e ogni volta che provo a chiudere gli occhi, si susseguono volti felici, facce sorridenti, lacrime di gioia, incastonati in quei cori che tutti intoniamo e che ti martellano il cervello in loop come fossero una sostanza stupefacente.

Quest’anno, lo ammetto, non sono stata la tifosa perfetta che avrei voluto essere, e non so quanto merito di salire sul carro dei vincitori. La partita contro il Catania della scorsa stagione mi aveva segnato profondamente. Doveva essere una festa, si è trasformata in una serata davvero brutta. Il calcio che non mi piaceva più.

Se n’era andato quell’entusiasmo, quella voglia pazza di arrivare alla Domenica per andare allo stadio… Non c’era più nulla. Poi arriva un ragazzo sconosciuto della provincia di Bergamo che sembra uscito da una puntata di Uomini e Donne, mette in campo 11 alieni, nessuna “prima donna” (mi verrebbe da definirla una squadra “pane e salame”, come disse qualcuno tanti anni fa ai tempi della D), fa far loro un bel gioco, tante vittorie e tutto cambia.

La verità è che, per quanto tu cerchi di rimanere lontano dal Padova, non ce la fai. In qualche modo il Padova ti verrà sempre a cercare, e ti catturerà come una calamita (a proposito, qualcuno ne ha trovate di Lumezzane?).

Non so cosa spinga a una persona a tifare per il Calcio Padova, e credo che chiunque tifi per una squadra di serie A non possa capire cosa voglia dire seguire una realtà come la nostra. Quel divario enorme fra delusioni (tante) e gioie (poche) che riescono a catapultarti dalle stalle alle stelle con una velocità disarmante. Siamo rimasti attaccati ai ricordi per troppo tempo. Vivere solo di ricordi non fa bene, è giusto lasciarne spazio a nuovi e credo che quelli che si sono creati in questi giorni, rimarranno impressi per anni nelle nostre “menti” (passatemi il termine!).

Sabato 26 Aprile, all’indomani della sbornia post-Lumezzane, in centro città ho visto tanti ragazzi con la maglia del Padova. In tantissimi parlavano del nostro piccolo grande trionfo. Nella ridente Lumezzane (e durante tutta la stagione, per inciso) ho visto famiglie con bambini e ragazzi allo stadio, nei social ho letto commenti carichi di ottimismo e bontà. Magari sarà un’illusione dovuta all’entusiasmo, ma forse qualcosa sta veramente cambiando, la ruota sta girando anche per noi.

E poi ripenso a quella giornata a Trieste che, a mio parere (e forse non soltanto il mio), è stato il nostro crocevia, il punto di svolta. Perchè dopo una settimana di vera agonia, quella che ti logora dentro e ti si piazza sopra come il cinghiale della Brioschi (intervallata da tachicardia, sbalzi d’umore e ansia), è successo qualcosa che, come ha detto il mio amico Matteo, ha avuto quasi del paranormale.

Un’intera città si è mossa a seguito della sua squadra, la tifoseria si è unita con sciarpe e bandiere a colorare in un tutt’uno, di Biancoscudato, gli spalti del Rocco. Gente con la pressione a zero, che si prenotava il turno per il giro in ambulanza, paure, timori, scenari catastrofici all’orizzonte, sogni di gloria tenuti in sordina. Penso alla gente che credeva nel miracolo (perché di miracolo si sarebbe trattato) che pur di esserci si è smazzata un viaggio infinito da Londra, Siviglia, Mallorca oppure Vigonza, perchè il Padova rimane il Padova anche a migliaia di chilometri di distanza. La passione per il Biancoscudo non conosce confini. Ed era ancor più giusto vincere per loro. 

E poi a fine partita, la magia. Quella forza che ha unito tutti si è trasformata in incredulità e in delirio totale per un risultato arrivato al minuto 97 (su un altro campo), proprio quando tu stavi festeggiando una squadra che, indipendentemente dal risultato del campo veronese, aveva onorato fino alla fine i colori che portava sul petto. Non sono una persona che crede granchè in Dio, ma sono sicura che quella sera dall’alto, quel qualcuno che protegge ognuno di noi, abbia organizzato un ritrovo collettivo dal Paradiso e ci abbia riservato la cosa più bella esista, il festeggiare insieme.

Le lacrime di delusione si sono trasformate in lacrime di gioia, incredulità. Sospesi in quei minuti infiniti, per sapere se il risultato che arrivava da Verona era ufficiale o se era il destino beffardo che ci faceva l’ennesimo scherzo. La faccia sbigottita di Spagnoli, i salti di Fortin, le lacrime di Fusi, uno che in campo non ci mette solo un cuore, ma due.

Il ritorno quella sera è stato lungo, accompagnato dalla pioggia e da un traffico agghiacciante, ma è stato il ritorno più dolce che si potesse immaginare.

E infine Lumezzane. Un paese invaso, due soli colori, una sola passione. E vedendo tutta quella gente che spingeva per un solo obbiettivo ho pensato che no, non avrebbe potuto andare male, non era giusto.

E così è stato.

Quindi, alla fine di questa bella storia, grazie a tutti.

Grazie alla città con la Piazza senza erba, il caffè senza Porte, il Santo senza il nome, la società senza comunicazione, ma CON tanti tifosi che nel momento più difficile hanno saputo unirsi e fare cerchio attorno alla squadra per un solo grande e unico obbiettivo.

Grazie ai miei “soci biancoscoppiati” Matteo e Marco, che con un lavoro certosino di sfiancamento psicologico mi hanno convinta a tornare in trasferta a Trento per rifumare “la prima sigaretta”. Da quel momento, come da previsione, mi sarei rifumata il pacchetto intero la domenica successiva e fino alla fine del campionato. E’ stato bello condividere le gioie insieme a loro.

Grazie alla squadra più bella del mondo, che ha sempre spinto a 200 all’ora dal 15 luglio (cit.), la squadra che dove non arrivava con le gambe, c’è sempre arrivata con il cuore.

Grazie al Mister, persona di un’intelligenza sopraffina, grande comunicatore, mai una parola fuori posto, che non è stato solo un allenatore, ma quel collante che è mancato fra la società e tutto il resto del mondo. Ha difeso con tutte le sue forze il suo gruppo, lo ha protetto dalle critiche dei soliti avvoltoi che dopo le prime sconfitte avevano già decretato la fine del sogno biancoscudato, ha cercato di far da pacere e risolvere problemi che non avrebbero dovuto essere di sua competenza. A volte c’è sembrato solo a dover gestire situazioni più grandi di lui. Insomma, un Rambo dell’hinterland bergamasco. Non sappiamo se rimarrà o meno (ma tutti sperano di sì), ma quello che ha dato a Padova è stato davvero qualcosa di immenso. Comunque vadano le cose, tiferemo per lui incondizionatamente.

Ps. Non ce ne voglia il vate Caneo, sappiamo benissimo che senza di lui tutto questo non sarebbe mai successo. Le basi, le fondamenta di questo successo, sono anche sue. Yes we Caneo, forever.

Pensiero a parte per Lumezzane, un paese che ci ha accolto con incredulità e curiosità, che ci ha messo a disposizione un intero stadio, che dal punto di vista artistico-geografico non ha tanto da offrire, oltre a caseggiati di cemento e industrie, ma che per qualche ora è stato il posto più bello del mondo. E’ stato giusto festeggiare là, fra i tifosi veri.

E’ stato bello poter camminare tranquillamente per le vie del paese vestiti da Padova senza che nessuno ci insultasse o ci menasse. E’ stato ancor più bello (ma non so se Marco è d’accordo), essere arrivati presto ed aver assaporato tutto il pre-partita dalle 11 di mattina, quella frizzante attesa che minuto dopo minuto, diventava sempre più attanagliante.

La conclusione, cari signori miei, è semplicemente che a Vicenza ci sta qualcuno più sfigato di noi. Perchè quando parti con il vento in poppa, con la spocchia di chi sente arrivato, di chi pensa di aver vinto il campionato dal mercato estivo, e vedi che chi ti purga sempre fa meglio di te, ti sta sempre un passo avanti, ti illude e poi ti punisce, ti sale un bruciore che dev’essere tipo fare pipì dopo essersi mangiarsi 10 peperoncini.

Ecco, ho finito. Spero abbiate provato anche voi le stesse mie sensazioni e posso solo sperare che questo sia davvero un nuovo inizio. Padova merita questo, anzi molto di più.

Per chi c’era e per chi ci sarà. In quale stadio non si sa. Grazie.