Amarcord

Cesarino Viganò, una storia entre nous. Anzi, “entreneuse”


“Cesarino Viganò, il mito (si fa per dire). Episodio non fine a sé stesso, anzi emblematico di un periodo irripetibile (si spera). Trasferta del Padova a Pescara, sabato sera vigilia del match. Alessandro Altobelli mi invita a cena fuori, con il presidente e altri amici, a mangiare il pesce (crudo). A Termoli, insiste. Si, nel capoluogo abruzzese evidentemente i ristoranti a base di pesce scarseggiano. “Ci vuole solo un’ora”, “Spillo” tenta di convincerci. Un’ora andando però a 200 chilometri orari. Cena allora al ristorante dell’hotel. Il prode Cesarino, come spesso gli succede, accusa un po’ di bruciori di stomaco. “Ti portiamo in farmacia”, gli dicono gli addetti ai lavori del suo giro. In pulmino, dove siamo anche noi introdotti, pochi metri, ed ecco la farmacia. O più esattamente, fanno entrare lo spaesato Viganò nella porticina accanto. E così il presidente del Padova, non sempre furbetto come quei mobili occhi da furetto potrebbero fare immaginare, si ritrova dentro un night.
Il padrone riconosce immediatamente il campione del mondo del 1982, che non disdegna la sua notorietà (“Il mio ideale di vita? Essere ricco e famoso”, dirà in altra circostanza, abbracciando due amiche casuali). In tre al tavolo, Viganò in preda ai bruciori istituzionali, Altobelli in raptus femminile, e il sottoscritto, divertito quanto fuori dal suo più semplice mondo sociale e
calcistico. Gol, arriva la squadra: una donna per il presidente, che subito manda via esclamando “ma che cazzo vuoi, chi ti vuole” (e così i bruciori aumentano a dismisura), e viene sostituita come se fosse in una partita da un’altra, a sua volta subito sostituita e mai più rimpiazzata.
Una giovane ungherese e una giamaicana per Altobelli (che sicuramente non si è messo a parlare con loro di Ferenc Puskas o di Bob Marley) e una diciottenne per il sottoscritto, allora più o meno cinquantenne. Questa invero splendida ragazza dotata di spettacolare minigonna si presenta dicendo “Alessandring” (nessuna parentela psicologica con Altobelli). Cogliendo una leggera connotazione palatale nella pronuncia della lettera “elle”, vado sul deciso: “lei è bulgara”. Per poco non mi sviene tra le braccia (talvolta serve avere studiato lingue). Ma intanto possiamo almeno cominciare una conversazione in una atmosfera kafkiana: Altobelli sprofondato nella sua celebrità, Viganò sprofondato nei suoi bruciori, e io sprofondato e basta. Spiego a Alessandrina che la situazione è assolutamente inspiegabile e nel contempo chiedo istruzioni: che cacchio devo fare per non apparire un mona integrale o insomma di un’altra sponda che storicamente non mi appartiene? E cosa le racconto? Che il presidente è in ritiro prepartita? O le chiedo se le interessa il 4-4-2 del Padova?Dal 1′ al 15 di questa strana “partita” non succede praticamente nulla. Viganò sembra in preda alle diaboliche poltrone su cui Gianni Agus faceva sedere Fantozzi che scivolava via da tutte le parti. E quando cominciavo a divertirmi in quanto Alessandrina mi stava raccontando piacevoli episodi, ecco il cartellino rosso: arriva il conto dei 15 minuti, ovvero 900 secondi in compagnia.
Sono 775.000 mila lire. Nel dettaglio 25.000 per le consumazioni, e 750.000 per le tre “entreneuse”, 250.000 per tre, il prezzo di un quarto d’ora di ordinaria follia. Fino a quella sera, l’unica parola che conoscevo che cominciava per “entre” era “entrecot”. Ora potevo avere l’alternativa. Ha pagato Viganò,
naturalmente, perchè io ero stato ufficialmente invitato in farmacia. Commento significativo del buon Cesarino: “Ueh, anche questa volta ci hanno inculato”!.

Domandina finale gossip: e le altre volte dove è stato inculato?”

(di Paolo Donà da “Biancoscudo – Cent’anni di Calcio Padova”)

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